Filippo Corridoni

 

1912- La nascita dell’USI

Per Corridoni il 1912 si apre ancora una volta nel segno della sofferenza, della povertà e della esistenza più dura. Le sue condizioni di salute sono precarie, ma nonostante le insistenze di amici e medici rifiuta il ricovero in una casa di cura svizzera. Fa la spola tra Lugano, dove abita in esilio Alceste de Ambris, e Milano. Il sindacalismo per lui non è solo un metodo, è una vera e propria morale di vita: morale difficile che può essere seguita dal proletariato solo se trasmessa in modo esemplare da capi e educatori. Pietro Nenni scriverà anni più tardi “Filippo Corridoni, grande cuore e grande anima”.  In quei mesi si divide tra Milano e Bologna, nelle agitazioni pro vittime politiche e nella lotta alla disoccupazione, causata anche dalla guerra di libia. Le lotte aspre di quei mesi sfociano in un comizio antimilitarista cui partecipano più di 10000 lavoratori. Gli organizzatori vengono arrestati. Dal carcere Corridoni scrive a De Ambris scagliandosi contro l’atteggiamento dei socialisti: “Il novello tradimento mi ha in siffatto modo esasperato che io a Modena sarò, se non il più valido, il più fervido sostenitore della scissione a tutti i costi”.  A Modena, novembre 1912, ha infatti luogo il congresso istitutivo dell’Unione Sindacale Italiana (U.S.I.) nata come scissione definitiva dalla C.G.d.L. Con Corridoni entrano tra gli altri i fratelli De Ambris, Masotti, Zocchi, Meschi e il giovane Giuseppe Di Vittorio, rappresentante delle organizzazioni bracciantili di Cerignola. Corridoni, appena rilasciato in libertà provvisoria, tiene la relazione congressuale “Le forme di lotta e di solidarietà”, dove indica nello sciopero, nel boicottaggio e nel sabotaggio gli strumenti di lotta del proletariato.

 

1913 L’Unione Sindacale Milanese

La scelta compiuta a Modena dal sindacalismo, scontata per molti versi, rappresenta il momento più semplice di un cammino  che si prospetta subito assai difficile. Ha fine l’unità dei lavoratori; iniziano lotte dolorosissime fra gli opposti schieramenti, in un momento di crisi economica e sociale. Corridoni concentra comunque i suoi sforzi per costituire a Milano l’Unione Sindacale (USM), associata all’USI, che ottiene l’adesione dei sindacati metallurgici, dei gasisti, dei tappezzieri, dei sarti, dei decoratori, pur tra difficoltà, contrasti, polemiche tra gli stessi esponenti sindacalisti. L’attivismo di Corridoni porta nel giro di pochi mesi ad una crescita incredibile dell’organizzazione: da poche leghe con 2000 iscritti ad una trentina con 17000 organizzati.  Il primo maggio è l’occasione di una prima verifica della effettiva consistenza delle forze in campo. Due cortei separati confluirono all’Arena di Milano: più di 50000 lavoratori. Al comizio parla anche Corridoni, che presenta un ordine del giorno che viene approvato a maggioranza. In un clima di notevole tensione ha inizio nel capoluogo lombardo una lunga e drammatica fase di scioperi, fra i più memorabili e difficili nella storia di Milano operaia. Il prefetto Panizzardi alla fine di maggio decide l’arresto di Corridoni, perché “è fuor di dubbio che il movimento va prendendo carattere rivoluzionario”. Lo sciopero si conclude con concessioni parziali a favore delle richieste dei lavoratori; tuttavia la combattività operaia e il prestigio di Corridoni non ne escono diminuiti. Ne sono conferma gli scioperi generali di giugno e di agosto che dimostrano la netta ripresa del movimento operaio milanese dopo anni di relativa stasi. Gli stessi socialisti rivoluzionari, che in quel momento hanno in mano la direzione del partito, Mussolini e Lazzari, si adoperano per ricostituire una piattaforma di intesa unitaria tra le forze sindacali. Il “blocco operaio” non ha tuttavia esito, per la intransigenza di riformisti e sindacalisti.

 

1914 La Settimana Rossa

Ai primi del 1914 l’USM guidata da Corridoni affianca tutta la sinistra rivoluzionaria milanese per l’elezione di Amilcare Cipriani al VI Collegio di Milano; il vecchio e ormai leggendario rivoluzionario in esilio a Parigi era diventato il simbolo della lotta contro lo stato da parte di tutta l’estrema sinistra.  Mussolini è quello che più di ogni altro in campo socialista si adopera per Cipriani, come Corridoni lo è per il campo sindacalista. Pippo probabilmente difetta dell'acume politico di un Mussolini o di un De Ambris; forse non vede sufficientemente che la tattica degli scioperi continui finisce per indebolire lo stesso movimento, qualora le avanguardie operaie non riescano a concretizzare e a tradurre a livello politico i risultati di quelle lunghe e drammatiche agitazioni. Inizia in lui una sorta di ripensamento. Nel marzo, a Parma, in un’animatissima riunione dell’USI, viene presa la decisione di frenare i movimenti rivendicativi in modo da far convergere tutti gli sforzi verso la preparazione di un vasto movimento generale fissato per la primavera 1915. Nel frattempo è caduto il governo Giolitti, sostituito dal conservatore Salandra. Ma tutto viene rimescolato da due eventi straordinari: la Settimana Rossa e lo scoppio della Grande Guerra.
La Settimana Rossa esplode ad Ancona ai primi di giugno a seguito di una manifestazione in cui vengono uccisi tre giovani dimostranti; immediatamente in tutt’Italia si genera una vasta mobilitazione antigovernativa.  Corridoni è tra i capi del movimento. A Milano il 9 giugno più di 50000 lavoratori gremiscono l’Arena. Pippo viene fermato mentre la manifestazione va sciogliendosi; è duramente percosso dalla polizia e viene incarcerato.

 

La Grande Guerra e l’interventismo

Mentre è in carcere, scoppia la Grande Guerra. Da una parte, gli imperi centrali, Germania e Austria-Ungheria, dall’altra le democrazie occidentali, Francia e Gran Bretagna.
Corridoni ha subito la percezione che la guerra non lascerà, una volta finita, le cose come prima. Si apriranno grandi opportunità per costruire su nuove basi economiche e sociali, ma soprattutto morali, una rivoluzione sociale, grazie alla sconfitta delle forze reazionarie. Uscito nel settembre dal carcere, si unisce ad Alceste De Ambris nel sostenere la guerra “rivoluzionaria” come ulteriore passo del proletariato verso la propria emancipazione. Organizza l’interventismo milanese, fondando insieme a sindacalisti e repubblicani come Amilcare De Ambris, Michele Bianchi, A.O. Olivetti, Cesare Rossi e altri, il Fascio Rivoluzionario d’Azione Internazionalista. Sono momenti drammatici. La componente anarchica dell’USI rimane fedele all’antimilitarismo. I socialisti rimangono a loro volta fedeli ad un neutralismo sterile. Mussolini si dimette da direttore dell’Avanti! e aderisce alle posizioni interventiste. Il connubio Corridoni-Mussolini nasce allora, ma fu occasionale e non ci fu mai un’intesa politica profonda tra i due, troppo diversi per carattere e per limpidezza di comportamenti.

 

1915
La propaganda di Corridoni per l’intervento continua ad intrecciarsi e a coesistere con la sua attività sindacale. Organizza un nuovo sciopero dei lavoratori del gas, su cui si innestano componenti politiche, la proprietà infatti è francese. Corridoni va a Parigi: ottiene condizioni vantaggiose e incontra il vecchio Amilcare Cipriani, ormai leggenda vivente, con il quale inizia una fraterna amicizia. Tornato in Italia Corridoni è arrestato alla stazione di Verona, viene trasferito a S.Vittore dove rimane fino al processo il 29 aprile. Viene condannato a 8 mesi, ma è rimesso in libertà il giorno dopo.

 

Sindacalismo e Repubblica

In carcere, dove freme per poter partecipare alla preparazione delle “radiose giornate” di maggio, scrive Sindacalismo e Repubblica, l’espressione più valida, più matura e interessante del suo pensiero. In essa affronta con fatica ma con decisione, una profonda e critica analisi del pensiero sindacalista; prospetta un’attenta revisione della dottrina e della pratica sindacaliste, nella prospettiva, per lui sempre irrinunciabile, della rivoluzione sociale ad opera del proletariato. E’ su posizioni libero-scambiste ed antistatali, a favore di una concezione autonoma del sindacato, per un programma politico fondato sulla democrazia diretta e anti-partitica, per la nazione armata e per un federalismo radicale poggiante sul decentramento del potere. Ciò che Corridoni non riesce a intravedere è che il sindacalismo rivoluzionario mancava di una prerogativa che avrebbe caratterizzato la storia degli anni successivi: la lotta a livello politico e parlamentare da parte delle organizzazioni dei lavoratori e la complessità della società di massa.

 

L’entrata in guerra, il fronte, la morte

Quando il 30 aprile Corridoni esce dal carcere, l’Italia è in piena lotta e gli scontri tra interventisti e neutralisti stanno assumendo in alcuni casi le caratteristiche di una guerra civile. Durante il mese di maggio il governo non ha più il controllo e la pressione a favore della guerra diventa preponderante. Corridoni è l’anima di questa battaglia interventista, anche se in lui persiste l’illusione che essa non sia che un momento iniziale della rivoluzione. In una grande manifestazione in Piazza del Duomo a Milano, il 19 maggio, di fronte a 50000 persone ribatte: “Dopo la guerra ognuno di noi riprenderà il suo particolare apostolato, dopo la guerra ognuno di noi ritornerà monarchico, repubblicano, socialista oppure sindacalista; oggi esiste un solo partito: l’Italia; un solo proposito: l’azione, perché la salvezza dell’Italia è la salvezza di tutti i partiti”. Il 24 maggio l’Italia entra in guerra. Corridoni ha guidato tutte le adunate interventiste di Milano; è stato l’oratore più ascoltato e applaudito. Ora tocca a lui. Come ricorda Masotti lui “era un religioso della virtù dell’esempio”. L’ansia di partire soldato prima di tutti gli altri lo perseguita, benché le sue precarie condizioni di salute lo terrebbero lontano dal fronte. La sua illusione della “guerra rivoluzionaria” lascia nel profondo del suo animo un turbamento senza speranza. Le lettere dal fronte ne sono testimonianza drammatica.  Rincorre la morte eroica e la trova il 23 ottobre presso la Trincea delle Frasche. Il corpo di Corridoni scompare e non viene più trovato; un mistero impenetrabile sembra aleggiare sulla sua fine.

 

Il Mito

Immediatamente dopo la morte, intorno alla sua figura inizia ad aleggiare un’aura di mito. Lo stesso Mussolini anni dopo dice: “Filippo Corridoni appartiene alla schiera esigua ed elettissima degli uomini che morendo ricominciano a vivere”. Pochi giorni dopo la morte il primo corteo a Milano di migliaia di lavoratori e cittadini depone corone commemorative presso il monumento delle Cinque Giornate a Porta Vittoria. E poi Parma e il Parmense e tanti altri luoghi d’Italia, compresa la sua città natale. La guerra e i suoi esiti amplificano il mito. Corridoni comincia ad essere utilizzato a fini politici contingenti. I sindacalisti di Parma e di Milano, la gioventù corridoniana sembrano essere i veri eredi del suo insegnamento, chiaramente di matrice classista e rivoluzionaria, afascista nello spirito e nella dinamica politica. Ma è il fascismo ormai al potere, che dopo un periodo iniziale di diffidenza, lo assume come simbolo della propria “rivoluzione”. Il 3 aprile 1925 il Ministro della guerra concede alla memoria di Corridoni la medaglia di Benemerenza per i volontari della Grande Guerra.  Il 15 ottobre dello stesso anno, su proposta del Duce del fascismo Benito Mussolini, il Re concede a Filippo Corridoni la medaglia d’oro al valor militare. Nel frattempo Parma dedica un monumento all’eroe della Trincea delle Frasche. Strenuamente difeso dai correligionari del fronte antifascista come Alceste De Ambris, il mito e la figura di Corridoni vengono tuttavia definitivamente assunti dal fascismo come propri: nel 1931 il decreto che cambia il nome di Pausula in Corridonia, negli anni del massimo consenso del regime la piazza e il monumento nella città natale. Il mito di Corridoni verrà difeso da Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della C.G.I.L., anche nel secondo dopoguerra, ma è voce isolata in quegl’anni in cui l’antifascismo identifica interventismo e fascismo. In anni più recenti finalmente la prospettiva storica si fa più chiara. È tempo di collocare Corridoni tra le grandi figure del primo novecento.

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