Il Museo

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La guerra di Libia
Le ambizioni coloniali, le forti correnti interventiste, la convergenza di interessi tra la borghesia settentrionale, che vedeva l’intervento in Libia come un’occasione per allargare i  propri mercati, e il proletariato agricolo del sud che vedeva nella Libia la terra adatta a ridurre la piaga dell’emigrazione, spinsero il governo di Giolitti prima ad avviare una campagna di stampa ostile alla Turchia e poi alla dichiarazione di Guerra e all’invasione dei territori della Cirenaica e della Tripolitania. Persino il poeta Giovanni Pascoli arrivò a dichiarare, parlando dell’Italia, che “la grande proletaria si è mossa”.  Non mancarono certo le voci contrarie come quella di Salvemini, che definì la Libia “uno scatolone di sabbia”, o come la maggioranza del partito socialista e di quello repubblicano. Un’opposizione decisa venne dalla parte più consistente dei sindacalisti rivoluzionari che tentarono di bloccare la guerra con le dimostrazioni di piazza e lo sciopero generale. Alceste De Ambris definì l’invasione italiana “una guerra di brigantaggio”. Le operazioni belliche furono assai più complicate del previsto e videro il coinvolgimento anche delle isole del Dodecaneso nel Mar Egeo. La speranza del governo italiano era stata quella di risolvere tutto in pochi mesi, mentre le condizioni di pace, dopo oltre un anno di ostilità, videro permanere le difficoltà a imporre una sovranità totale sui territori libici.